Partiamo da un dato: 15 azioni di classe su 28 sono state dichiarate inammissibili dai Tribunali italiani (dato aggiornato al momento in cui si scrive).
Da un punto di vista sociale tale dato non è desiderabile. Dietro ogni ordinanza di inammissibilità vi sono centinaia (in alcuni casi anche migliaia) di consumatori che ritengono di aver subito un danno ingiusto del quale chiedono riparazione utilizzando, pazientemente e civilmente, i rimedi riconosciuti loro dall’ordinamento giuridico. L’ordinanza di inammissibilità, indipendentemente dal merito della singola vicenda, frustra di per sè queste aspettative di tutela e rischia di generare un senso di sfiducia nel mercato e nei mesccanismi di tutela contro gli illeciti che in esso si verificano predisposti dall’ordinamento giuridico nazionale e comunitario (si sta discutendo sulla opportunità di introdurre anche a livello UE uno strumento di tutela collettiva per gli illeciti di mercato, la questione è riassunta qui).
Da un punto di vista strettamente giuridico l’attuale elevatissima incidenza delle dichiarazioni di inammissibilità (53,5%) delle azioni di classe è preoccupante.
Come noto, ai sensi del comma 6 dell’art. 140 bis del Codice del Consumo, una azione di classe deve essere dichiarata inammissibile quando il Collegio giudicante riscontra anche solo uno dei seguenti elementi: i) l’azione è manifestamente infondata; ii) quando sussiste un conflitto di interessi; iii) quando il giudice non ravvisa l’omogeneità dei diritti individuali, nonché iv) quando il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l’interesse della classe.
Sgomberiamo subito il campo da possibili equivoci: è molto opportuna la scelta del legislatore nazionale di stabilire un vaglio preliminare di fondatezza della domanda introduttiva del giudizio di classe e siamo convinti che tale filtro sia (in teoria ed in pratica) ragionevolmente proporzionato per raggiungere l’obiettivo sociale di evitare che azioni manifestamente infondate, temerarie, o, diciamo così, non genuine proseguano verso una attenta analisi di merito con conseguente dispendio di risorse pubbliche e private nonché con il rischio di ingiusti danni di immagine per i convenuti.
In poche parole e ricorrendo ad una semplicistica comparazione il filtro di ammissibilità è stato concepito per svolgere il ruolo di anti-spam delle azioni di classe evitando serie complicazioni al sistema operativo della giustizia civile.
Se si analizzano le 15 ordinanze di inammissibilità rese fino a questo momento emerge che questo ruolo di anti-spam è svolto efficacemente.
Facciamo qualche esempio. Di seguito riportiamo (con estrema semplificazione) le motivazioni che hanno condotto i Collegi giudicanti a dichiarare inammissibili le azioni di classe fino ad oggi esaminate:
ERRATA INDIVIDUAZIONE DEL TRIBUNALE COMPETENTE (Tribunale di Bologna, Ord., 04.03.2013)
ERRATA INDIVIDUAZIONE DEL LEGITTIMATO ATTIVO (sia con riferimento al singolo consumatore rappresentante della classe che alla Associazione in quanto attore iure proprio) (Tribunale di Torino, Ord. 27.05.2010 e Trib. Roma, Ord. 22.06.2012)
ERRATA INDIVIDUAZIONE DEL CONVENUTO (Tribunale di Milano, Ord., 20.10.2011)
ASSENZA DEL DIRITTO ALLA RESTITUZIONE (LE SOMME NON ERANO STATE ANCORA PAGATE) (Tribunale di Firenze, Ord., 30.05.2011)
MANCATA DECLINAZIONE DELLA CONDOTTA ILLECITA NEL CASO DI SPECIE (Tribunale di Milano, Ord., 15.10.2013)
PROPOSIZIONE DI UNA AZIONE PER UN ILLECITO CHE NON RIENTRA NELL’AMBITO DI APPLICAZIONE TEMPORALE DELL’AZIONE DI CLASSE (Trib. Roma, Ord., 29.03.2011)
PROPOSIZIONE TRAMITE L’AZIONE DI CLASSE DI DOMANDE NON PREVISTE DALL’ART. 140 BIS COD. CONS.(Trib. Roma, Ord., 20.09.2011)
ASSENZA DEL REQUISITO DI OMOGENEITA’ / IDENTITA’ DEI DIRITTI LESI (Trib. di Roma, Ord., 11.04.2011 ed altre)
Dunque, se tralasciamo per un momento la questione della assenza di identità/omogeneità dei diritti lesi (unico vero problema giuridico), secondo i Collegi giudicanti che hanno esaminato le azioni di classe incardinate presso i Tribunali italiani, la principale causa che ha condotto alla dichiarazione di inammissibilità delle azioni è stata l’ incapacità tecnica dei proponenti (associazioni o comitati ad hoc) di utilizzare questo delicatissimo strumento di tutela giudiziale.
Dunque il filtro anti-spam sta funzionando bene.
Ma cosa succede in questi casi alle centinaia (se non migliaia) di consumatori che, nonostante gli errori procedurali dell’Associazione o del Comitato, continuano a ritenersi lesi dal comportamento dedotto in giudizio e che hanno magari anche pagato una quota alla Associazione / Comitato per promuovere l’azione di classe?
Nelle pagine web delle principali associazioni dei consumatori (risultate soccombenti nei giudizi sopra richiamati) non abbiamo trovato, sorprendentemente, una risposta a questa domanda né un modello di rimborso a favore dei consumatori (ricordiamo, per chi fosse affascinato dall’idea, che è, in principio, possibile proporre una azione di classe contro il promotore della class action per responsabilità professionale).
Questi consumatori potranno certamente proporre una nuova azione di classe per la medesima violazione (la Corte di Cassazione ha precisato – sentenza del 14.06.2012 che l’ordinanza di inammissibilità non implica alcuna statuizione definitiva sul diritto proposto in giudizio e dunque non comporta decadenza delle azioni), sempre che il diritto a fondamento delle azioni non si sia nel frattempo prescritto. Ma in quanti avranno ancora voglia di farlo?
Ecco ri-materializzarsi lo spettro della assenza di fiducia nei rimedi predisposti dall’ordinamento giuridico verso gli illeciti di mercato.
Simili dichiarazioni “È come offrire una Ferrari ai consumatori privandola però del motore, della tappezzeria, del volante. Noi del Codacons su questa Ferrari siamo saliti e, occorre ammetterlo, non siamo andati molto lontani. Pur avendo vinto – non senza enormi difficoltà – più di un’azione collettiva (per le “classi pollaio” nelle scuole, per il decreto sulla ludopatia, per il test sull’influenza suina), molte altre si sono arenate o non sono state ammesse dai giudici, e di fatto, pur in presenza di sentenze favorevoli, non si è registrato alcun vantaggio sul fronte dei diritti dei consumatori. Altre volte è intervenuta la politica ad affossare le armi di difesa dei cittadini”, non giovano ed anzi rischiano di confondere i consumatori posto che, come visto, le azioni di classe sono state dichiarate in gran parte inammissibili per ragioni, per così dire, “tecniche”.
Ad ogni modo, indipendentemente dagli errori e dalle sviste che in una fase preliminare di applicazione di un istituto complesso come quello in esame possono legittimiamente verificarsi (e come visto si sono verificati), possiamo aspettarci in un prossimo futuro azioni di classe più mature e più solide anche da un punto di vista “tecnico”.
Veniamo ora alla seconda causa di inammissibilità: l’assenza di omogeneità/identità dei diritti lesi.
La questione è stata, opportunamente, oggetto di un intervento correttivo del legislatore nel 2012. L’originario testo dell’art. 140 bis del Codice del Cosnumo indicava tra i requisiti di ammissibilità l”identità” dei diritti lesi.
Salvo un paio di prime pronunce di inammissibilità particolarmente rigorose (per cui si richiedeva la identità del petitum e della causa petendi), il requisito della identità dei diritti, anche prima della riforma Monti del 2012, era stato già interpretato dai Tribunali italiani come sostanziale omogeneità dei diritti. Dunque tale requisito era stato ricondotto in un alveo di ragionevolezza che aveva consentito di dichiarare ammissibili (in primo e secondo grado) almeno 6 azioni di classe. Le altre sono state dichiarate ammissibili successivamente.
Comunque il legislatore ha definitivamente ammorbidito il requisito cardine di ammissibilità delle azioni di classe ed il principale ostacolo è stato rimosso.
Ma che cosa significa “dritti omogenei”?
Recentemente il Tribunale di Milano (Ord. d.d. 8 novembre 2013) ha fatto alcune precisazioni: “ritiene questo Tribunale che anche i danni lamentati debbano presentare elementi di base comuni (pur non richiedendosi l’identità del petitum) in mancanza dei quali verrebbe meno la possibilità di trattare congiuntamente la fase di merito con riferimento ad una pluralità (potenzialmente indefinita per effetto delle eventuali adesioni […]) di crediti: contestualmente alla introduzione del sicuramente più elastico criterio della “omogeneità”, il legislatore del 2012 ha previsto che la liquidazione del danno sia definitivamente attuata con la fase decisoria dell’azione di classe (rimanendo in via alternativa la possibilità di stabilire il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione), sul necessario presupposto che siano aggregate fin dall’inizio del processo pretese individuali suscettibili di essere valutate unitariamente, senza la necessità di un’istruttoria relativa alle particolari posizioni degli attori”.
Ora ci troviamo dinanzi ad un problema giuridico (ed economico) vero. Cosa dobbiamo ritenere in concreto “diritti omogenei”? Sarebbe utile saperlo con certezza ex ante, piuttosto che procedere per tentativi…
Noi crediamo che la proposzione di azioni di classe sia uno strumento insostituibile per la tutela dei consumatori, ed anche delle PMI (che oggi non possono invocare l’art. 140 bis), come necessario contraltare di una organizzazione industriale e commerciale massiva (quale consumatore negozia i contratti di consumo? quale operatore preposto alla vendita ha realmente il potere di negoziare un contratto con i consumatori o con un professionista?).
Ma auspichiamo vivamente che si possa apprendere dagli errori fatti e che la proposizione delle azioni di classe si affermi nello scenario legale come uno strumento di tutela serio ed efficace.
L’azione di classe introdotta in Italia è uno degli strumenti di collective redress più avanzati nell’Unione Europea (è vero sono ancora pochi gli Stati membri che hanno previsto uno strumento di tutela collettiva giudiziale azionabile dai singoli soggetti danneggiati, ma la normativa italiana – a nostro modo di vedere – può rappresentare un valido modello e comunque è una normativa di avanguardia in UE. Un tentativo di rappresentare il quadro agggiornato sullo stato dell’arte in materia a livello UE è il Progetto ITACA).
Chiudiamo queste brevi riflessioni con un dato positivo: almeno una azione di classe è giunta a sentenza con condanna al risarcimento del danno in favore dei consumatori . Si tratta della sentenza di del Tribunale di Napoli del 7 gennaio 2013.
Un consiglio finale: molto correttamente la giurisprudenza nazionale in materia di azioni di classe ha sottolineato che nel nostro ordinamento l’azione di classe è prima di tutto una azione individuale e deve pertanto possedere tutti i requisiti di una azione individuale.
Se così è, allora anche per l’azione di classe valgono queste regole semplici e di buon senso di cui può essere utile tener conto prima di intraprendere un giudizio.
Grazie per l’attenzione e buona giornata.
MC