Con sentenze nn. 3501, 3502 e 3503 del 2020 il Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto dall’AGCM avverso le sentenze del Tar Lazio che avevano annullato il provvedimento sanzionatorio emesso nei confronti dei principali operatori di radiotaxi attivi a Milano a conclusione del procedimento I801B.
Come si ricorderà con provvedimento del 27 giugno 2018, l’AGCM ha deliberato che le clausole di esclusiva contenute negli atti che disciplinano i rapporti tra i principali operatori di radiotaxi attivi a Milano (Taxiblu Consorzio Radiotaxi Satellitare Società Cooperativa, Yellow Taxi Multiservice S.r.l. e Autoradiotassì Società Cooperativa) ed i tassisti aderenti costituissero reti di intese verticali restrittive della concorrenza in violazione dell’articolo 101 del TFUE. In particolare, l’Autorità aveva ritenuto che tali clausole, vincolando ciascun tassista a destinare tutta la propria capacità operativa, in termini di corse per turno, a un singolo radiotaxi, fossero idonee a determinare un consistente e duraturo effetto di chiusura del mercato della raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi a Milano, ostacolando l’accesso a nuovi operatori che adottano un diverso e innovativo modello di business, come Mytaxi, e, più in generale, la concorrenza tra piattaforme chiuse (come i radiotaxi) e aperte. Un provvedimento gemello era stato adottato nei confronti degli operatori di radiotaxi attivi a Roma, all’esito del procedimento I801A.
Con sentenze dell’aprile 2019 il Tar Lazio aveva integralmente accolto i ricorsi presentati dagli operatori di radiotaxi di Milano, annullando per l’effetto il provvedimento sanzionatorio.
Con le sentenze in commento, accogliendo l’appello dell’AGCM il Consiglio di Stato ha integralmente riformato le sentenze di primo grado, confermando per l’effetto il provvedimento sanzionatorio a carico degli operatori di radiotaxi di Milano.
Il Consiglio di Stato ha anzitutto ritenuto che nell’ipotesi di fasci intese verticali – quali quelle in esame – la “comune volontà anticompetitiva” da accertare è soltanto quella esistente tra le due parti della singola intesa, ossia il radiotaxi e il singolo tassista, non essendo invece necessario accertare una comune volontà anticompetitiva tra tutti i soggetti parti del “fascio” di intese verticali (come invece ritenuto dal Tar Lazio).
Né, secondo il Consiglio di Stato, l’AGCM avrebbe dovuto estendere l’accertamento dell’intesa ai singoli tassisti aderenti, in quanto – secondo la giurisprudenza comunitaria – nell’ambito di reti parallele di intese verticali, la responsabilità dell’effetto anticompetitivo deve essere imputata agli operatori che vi contribuiscano in modo significativo. E, nel caso di specie, prosegue il Consiglio di Stato, la misura del contributo alla produzione dell’effetto anticoncorrenziale è certamente diversa a seconda che si faccia riferimento alla posizione del singolo tassista ovvero dei radiotaxi.
Su tali basi, il Consiglio di Stato ha quindi ritenuto che l’AGCM avesse correttamente qualificato le clausole di non concorrenza come reti parallele di intese verticali, accertando la presenza di fasci di accordi tra imprese espressivi di una comune intenzione delle parti di operare secondo concordate modalità sul mercato, senza che fosse necessario indagare altresì nei rapporti tra ciascun radiotaxi e i tassisti aderenti ovvero tra i tre radiotaxi parti del procedimento un comune intento di escludere i concorrenti.
Condividendo le censure dell’AGCM e le argomentazioni di MyTaxi, il Consiglio di Stato ha giudicato poi corretta e supportata da adeguati elementi istruttori la definizione del mercato rilevante contenuta nel provvedimento sanzionatorio, ribaltando anche su tale punto il giudizio del Tar Lazio, che aveva ritenuto la definizione del mercato rilevante affidata mere affermazioni e asserzioni, non correlata da alcuna analisi empirica, e non calibrata alla natura a due versanti del mercato.
Il Consiglio di Stato ha osservato poi che – diversamente da quanto ritenuto dal Tar Lazio – l’Autorità non ha inteso il danno concorrenziale come incapacità di un nuovo operatore di raggiungere il tasso di sviluppo imprenditoriale atteso o come necessaria diffusione di nuove tecnologie reputate più efficienti, bensì ha verificato se la presenza di clausole di esclusiva, suscettibili di impedire l’ingresso nel mercato od ostacolare l’attività di nuovi operatori, comportasse una riduzione della quantità e qualità del servizio erogato all’utenza, oltre che un aumento dei prezzi di acquisto del servizio intermediato.
Condividendo i motivi di impugnazione riguardanti l’effetto anticoncorrenziale, il Consiglio di Stato ha poi giudicato correttamente svolte le verifiche necessarie per accertare l’esistenza di effetti anticoncorrenziali derivanti da fasci di intese verticali.
Inoltre, sempre ad avviso del Consiglio di Stato, la portata anticoncorrenziale delle clausole di esclusiva non poteva né ritenersi controbilanciata dalla previsione del diritto di recesso – dovendosi valutare non soltanto la giuridica possibilità dello scioglimento del vincolo, ma anche l’effettiva praticabilità del rimedio sotto un profilo economico – né risultava giustificata alla stregua della disciplina codicistica.
Alla luce di ciò, il Consiglio di Stato ha quindi ritenuto corretta la definizione del danno anticoncorrenziale e provato l’effetto anticoncorrenziale.
Infine, il Consiglio di Stato ha ritenuto le spiegazioni alternative fornite dalle appellate inidonee a superare la tesi dell’AGCM e non applicabile agli accordi de quibus l’esenzione prevista dall’art. 101 par. 3 TFUE, essendo le intese produttive di un significativo effetto anticoncorrenziale, volte ad impedire o ostacolare l’ingresso di nuove piattaforme di intermediazione e quindi tali da arrecare un pregiudizio sia ai tassisti che ai consumatori finali.
Il testo delle sentenze è disponibile qui, qui e qui.
Fonte: Giustizia Amministrativa